Bullismo, cyberbullismo e teologia cristiana

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“Il termine bullismo deriva dall’inglese ‘bulling’ che interpreta in modo efficace quella relazione in cui, contemporaneamente, qualcuno prevarica e qualcun altro è prevaricato, con prepotenza di vario tipo ed intensità. Quindi, con il termine bullismo, si riuniscono in una categoria unica sia gli aggressori che le vittime, secondo una prospettiva sistemica nella quale ogni azione di un soggetto determina una ‘retroazione’ nell’interlocutore in grado, a sua volta, di condizionare l’azione successiva” (Montuori, 2016).

“Cyberviolenza e cyberbullismo sono il lato oscuro della medaglia rispetto agli usi e le possibilità offerte da Internet. Le conseguenze di tali aggressioni sono altrettanto gravi di quelle relative al bullismo tradizionale e il crescente numero di suicidi tra gli adolescenti ha riproposto il problema della penalizzazione di tali comportamenti” (Blaya, 2012).

Il bullismo e il bullismo on-line sono, pertanto, due qualità particolari di azioni, volute e continuate, che esercitano un vero e proprio abuso di potere (tra il soggetto attivo e il soggetto passivo o tra il gruppo attivo e il gruppo passivo, al maschile e al femminile), finalizzato ad intimidire e dominare (Sharp-Smith, 1994) la vita fisica, psicologica e aperta alla trascendenza di una persona a cui, in un modo o nell’altra, viene impedita l’esplicitazione reale, lecita e legittima della libertà: libertà che, alla luce dei diritti umani e del diritto divino o eterno (Tommaso d’Aquino, 1225-1274), è un diritto inviolabile, inalienabile, non negoziabile, universale e indivisibile (Turi, 2016).

Dal punto di vista morale e giuridico, i due fenomeni – che hanno un’origine precoce, familiare, di gruppo micro-criminale e culturale (Bacchini, 2012) – sono interpretati da alcune scienze umane (filosofia, psicologia personale, psicologia sociale, pedagogia applicata, sociologia di gruppo, diritto penale, ecc.) e dall’etica teologica, che è una branca della teologia cristiana: etica teologica che riflette sulla distinzione che sussiste tra il bene e il male e tra il bene comune e il male civile ed ecclesiale. Per questo motivo, il bullismo e il cyberbullismo entrano a far parte, di diritto e di fatto, nella sfera della competenza specifica della disciplina che ha per oggetto la concezione cristiana dell’ordine morale della persona, della famiglia e della società umana, formata dalle sue tipiche articolazioni antropologiche ed istituzionali.

In primo luogo, c’è da dire che, al di là dei mondi vitali (famiglia, scuola, gruppi formali, informali, parrocchia, ecc.) abitati dai due comportamenti violenti, che militano e/o annullano la libertà dell’”altro/a”, il cristianesimo sostiene che bisogna amare il prossimo come se stessi (Mt 22,39). Siccome le relazioni di amicizia autentica, d’innamoramento sincero e d’amore gratuito sono diventate, sempre più, “merce rara” delle nostre società neopagane, aggressive, narcisiste, ciniche e sadiche, allora ciò che serve è un’opera di disinquinamento delle “devianze giovanili”, che postula una rifondazione educativa della coscienza morale di quei comparti e segmenti sociali che vivono come se Dio e la legge positiva dello Stato non ci fossero. In altre parole, bisogna un virtuoso e condiviso edificio morale, basato sui valori della fraternità e della solidarietà. Bisogna passare, cioè, dal modello della società competitiva al modello della società collaborativa: il bullo e il cyberbullo sono convinti, invece, che la prevaricazione e la prepotenza siano valori emergenti, che servono, però e quasi sempre, a compensare la loro deficitaria personalità responsabile. In tal senso, i soggetti attivi dei due fenomeni perversi altro non fanno che surrogare la propria inanità morale, ponendo in essere due azioni, intenzionalmente volte a produrre il male concreto e a scintille multiple, che portano a realizzare effetti non prevedibili e certamente dannosi, sotto vari profili della struttura ontologica del soggetto passivo. Amare gli altri come se stessi è, di conseguenza, la prima medicina morale per vedere nel “diverso” la propria persona e la propria dignità umana.

In secondo luogo l’etica teologica della teologia cristiana insegna che l’amore fraterno è frutto dello Spirito del Risorto (Gal 6,22) e sintesi dei comandamenti (Rm 13,8-10): in merito, non è necessario scomodare la teologia trinitaria. Qui si tratta di constatare il fallimento della formazione integrale e plenaria di gran parte dei fanciulli, dei ragazzi, degli adolescenti e dei giovani: la responsabilità oggettiva di questa situazione drammatica è dovuta alla crisi d’identità autorevole dell’unità familiare, dell’unità ecclesiale e dell’unità delle istituzioni pubbliche. L’odiernità dell’Occidente è caratterizzata, infatti, dalla rarefazione dell’ecologia umana e sociale e dall’egemonia diffusa e profonda del relativismo culturale (Benedetto XVI, 2005; 2007; 2009). Il “dio denaro” ha creato il bullismo, il cyberbullismo, lo stalking e così via: ebbene, per sradicare queste perversioni non basta la magistratura, non bastano le forze dell’ordine e “i movimenti di prevenzione”: serve una irrinunciabile alleanza educativa tra i mondi vitali dove non può mancare l’apporto della componente che, direttamente o indirettamente, annuncia e traffica l’amore fraterno, plasmato dallo Spirito Santo, che è l’oggi del Dio di Gesù Cristo nella storia. Un adolescente che non prega, che non ascolta la Parola di Dio, che non vive l’eucaristia e la carità cristiana è un adolescente che, senza saperlo, è destinato, purtroppo, ad infoltire l’area della cosiddetta “generazione perduta” (Draghi, 2016).

In terzo – ed ultimo luogo – l’etica teologica cristiana suggerisce di non trascurare l’invito di Gesù il quale afferma “Io non sono violento né altero perché sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29). Senza il Signore non si va da nessuna parte in quanto le implicazioni morali dell’incarnazione del Figlio di Dio rivelano la verità dell’uomo all’uomo: è urgente che le istituzioni naturali (=famiglia e comunità politica) e convenzionali (=mondi vitali privati e organismi pubblici dello Stato) rimettano la figura e l’opera del “figlio del falegname e di Maria di Nazareth” al centro della propria esistenza. La mitezza e l’umiltà di Gesù sono il farmaco giusto per sanare la società malata del nostro tempo di cui il bullismo e il cyberbullismo rappresentano una cifra emblematica: il cristocentrismo proposto dalla Chiesa e dalla teologia cattolica non ha un fine clericale ma umanistico. Proporre e vivere l’umanesimo integrale e solidale significa concorrere ad instaurare un ordine morale degno dell’uomo, dove anche i bulli si possono convertire e salvare perché il Dio di Gesù Cristo è un Dio misericordioso, sempre e dovunque (Francesco, 2015).-

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