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Daniela Maraglino Perrini: “In Italia sono nata e in Italia vorrei morire”

09-01-daniela maraglinoNOCI (Bari) – La serenità, gli affetti, il benessere psicologico è ciò che davvero conta nella vita di Daniela Maraglino Perrini. Oggi medico in Francia, Daniela affronta ogni giorno le difficoltà e lo stress psicologico tipici della sua professione con la forza di chi, per raggiungere il suo traguardo, ha dovuto "scontrarsi" con realtà non sempre favorevoli alla propria serenità e percorso strade non povere di ostacoli. Eppure, nonostante gli inevitabili alti e bassi e la vita in un Paese affascinante quanto a tratti ostile, Daniela ha realizzato il suo sogno giungendo alla convinzione che quando si decide di partire occorre farlo con la consapevolezza che "gli affetti non sono eterni".


Da sempre il tuo sogno è stato quello di essere un medico. Raggiunto il tuo obiettivo decidi sin da subito di iniziare la tua carriera all'estero, senza nemmeno tentare concorsi in Italia. Da cosa nasce questo tuo desiderio di "evasione"?

Dalla sfiducia: l'idea che in Italia troppo spesso non vince nemmeno più il raccomandato, ma colui che ha la raccomandazione più forte mi disgustava troppo. Volevo "farmi le ossa", perfezionare le lingue, guadagnare di più e fare pratica dove la si fa davvero... E avevo troppa paura dell'impotenza che si prova quando qualcuno ti sorpassa, ma non per merito, paura di quelle volte in cui non puoi nemmeno dire a te stessa: "Se mi impegno e ci riprovo, magari ce la posso fare".

Quali sono stati i momenti più importanti del tuo percorso professionale all'estero?

Subito dopo l'abilitazione alla professione feci le valigie e partii per Svizzera, Belgio e poi Inghilterra. All'estero ho visto pazienti con assicurazioni più costose curate dal primario del reparto e ricoverati nelle suite dell'ospedale, e poveracci nelle stanze con 4 letti seguiti dall'ultimo arrivato. Ho visto pazienti che non ricevevano farmaci costosissimi, che da noi vengono dati sistematicamente, per far risparmiare le assicurazioni, e questo perché tanto servono "solo" a migliorare la qualità della vita, ma non la allungano; ho visto interventi che si potevano evitare, ma che sono stati fatti solo per far guadagnare qualche medico. Ora sono in Francia: ho superato un concorso nazionale e ci sono rimasta. Qui però è davvero dura: la formazione da noi è più graduale; qua, invece, ti ritrovi spesso solo, ed intendo davvero solo, a gestire emergenze di ogni sorta che da noi gestirebbero solo rianimatori con anni di esperienza. In più, quasi tutti i giorni sento battute su "Italia - mafia", Berlusconi e il bunga bunga, e fatte da gente talvolta fredda e molto competitiva, non suonano sempre come battute... Qui ho trovato anche tanta gente meravigliosa che mi ha aiutata tantissimo, ma l'ambiente lavorativo è duro ovunque, negli ospedali psicologicamente molto stressante e in una regione della Francia nota per la gente non sempre accogliente, ancora di più.

Con il senno di poi, sceglieresti ancora di trasferirti così lontana o, al contrario, concederesti una possibilità al nostro Paese?

Partirei ugualmente solo per non avere rimpianti e per rendermi conto con i miei occhi che "l'erba del vicino non è sempre la più verde". Non nascondo che qui si arriva a guadagnare molto di più, ma nonostante ciò, il nostro Paese merita almeno una possibilità per tutti i pregi che ha: per noi del sud non è così facile abituarsi al cielo grigio tutti i giorni, alla gente fredda e ai negozi chiusi alle 7.

Lavorare quotidianamente in un ospedale richiede molta forza psicologica. Quali sono gli aspetti che ti hanno avvicinata a questa professione e quali, invece, se ci sono, ti pesano maggiormente?

Mia madre era un'infermiera che adorava il suo lavoro e si sacrificava tanto per i pazienti: lei ha trasmesso questa passione sia a me che a mio fratello fin da quando eravamo bambini. Amo aiutare gli altri, ma da bambina non avevo considerato la tristezza e l'impotenza che si provano troppo spesso in questo mestiere: constato decessi quasi ogni giorno e spesso mi ritrovo a dover aprire corpi e togliere pace-maker a pazienti che avevo seguito con cura e con i quali avevo parlato e scherzato per mesi. Pazienti a cui ti affezioni, che si affidano a te, che ti raccontano le loro paure e i loro pensieri più intimi, che ti confidano segreti di cui nemmeno la loro famiglia è a conoscenza e che ti porterai nella tomba. Diventi una spugna di sofferenza che non puoi buttar fuori: se sei bravo ti costruisci una corazza che ti illudi possa proteggerti, ma poi arriva la notte quando sogni ciò che pensavi non ti avesse scalfito e ti svegli di soprassalto.

"Qualunque scelta facciamo noi italiani, partire o restare, il prezzo da pagare resterà sempre alto". Partendo da questa tua constatazione, quale consideri la strada migliore su cui i giovani di oggi dovrebbero porre le loro speranze?

Ho viaggiato tanto per lavoro nella speranza di trovare di meglio, ma viaggiando ho capito che "tutto il mondo è Paese" e che ci sono problemi un po' ovunque: ho visto anche all'estero problemi burocratici, lettere perdute, treni affollati e costosissimi che fanno ritardo, errori nel calcolo delle tasse, corruzione e tant'altro. Perciò ciò che mi sento di dire ai giovani Italiani che stanno pensando di partire è di farlo come esperienza di crescita, ma anche di non idealizzare l'estero, qualunque Paese esso sia. Sicuramente all'estero c'è meno corruzione ed è più facile trovare lavoro, ma non sono così sicura che se si mettano i pro e i contro del restare e del partire sui due piatti della bilancia, questa penda sempre per l'estero. Un'amica italiana, ricercatrice all'estero, mi ha detto che posso permettermi di parlare così perché per un Medico è più facile trovare lavoro in Italia. È vero effettivamente che un ricercatore da noi ha vita molto dura... Se davvero non si trova nulla è d'obbligo partire! Ma se si parte solo nella speranza di "far soldi", non si deve dimenticare che gli affetti non sono eterni e che, come ha detto Carlos Ruiz Zafòn: "In questo schifo di mondo niente vale un centesimo se non abbiamo qualcuno con cui condividerlo". E gli affetti che ti sono accanto fin da bambino restano insostituibili...

Hai realizzato il tuo sogno di diventare un medico, investendo impegno e sacrificio. Se guardi al tuo futuro, quali altri obiettivi ti proponi di raggiungere e cosa augureresti a te stessa?

Letto tutto questo qualcuno potrebbe obiettare: "E allora perché non torni?" Ancora per qualche anno sono bloccata qui... e poi si vedrà, ma spero sinceramente di non entrare a far parte della schiera di Italiani all'estero che sono partiti per tornare, ci sono rimasti per ragioni varie ed ora rimpiangono di esser troppo vecchi per farlo. Qui In Francia ho trovato l'amore: un Francese che ha vissuto due anni in Puglia e che la adora, e non ti nascondo che sogniamo entrambi di ritornarci, lavoro permettendo, per la qualità di vita che c'è giù da noi. Io, in più, ho troppa nostalgia della famiglia e degli affetti che ho lasciato lì, ma anche del calore della gente in genere, della sua "elasticità mentale", del territorio, del meteo, della cucina. Non mi interessano la gran carriera e il gran conto in banca se questo deve costare non poter coltivare gli affetti o far crescere i miei figli da una baby sitter: voglio la serenità, la possibilità di godermi le persone che amo, uno stipendio che mi permetta di vivere senza ansie e la soddisfazione di prendermi cura dei miei pazienti responsabilmente. Ma in Italia sono nata e in Italia vorrei morire.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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