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Giuseppe Giacovazzo nel ricordo di Angela Saponari e Piero Liuzzi

10-29-giuseppe-giacovazzoNOCI (Bari) - Abbiamo chiesto al sindaco di Noci, dott. Piero Liuzzi,  e alla prof.ssa Angela Bianca Saponari di raccontare l'incontro con il giornalista, intellettuale, scrittore, politico, Giuseppe Giacovazzo, morto ieri mattina all'età di 87 anni. Una vita spesa per il sud, per la gente del sud e per un nuovo meridionalismo mai piagnone, ma capace di traguardare orizzonti sempre nuovi. 

L'ultimo cantore della Murgia dei trulli

di Piero Liuzzi

L'ultimo cantore della Murgia dei trulli. Con Peppino Giacovazzo se ne va anche il mito. E il genio del luogo lascia il posto vuoto. Nessuno saprà più parlare di albe e primavere fra le coniche costruzioni, nessuno potrà far intendere al mondo intero che qui, in questa "enclave" di Puglia, l'uomo è testimone, suddito e signore della vicenda antropologica più singolare che sia stata mai descritta, in letteratura come in agricoltura, in politica come nella cultura. A Noci ci tornava di rado ormai, ma si interessava ai racconti che mi chiedeva sugli amici di Noci, sui vecchi compagni di viaggio e delle stagioni politiche. Si stupiva della mia conoscenza quasi perfetta delle sue amicizie nocesi, degli aneddoti che, in quanto nocesi, ci riguardavano, e delle battute di caccia coordinate dal "re della Murgia", tale Sciancamacchia, arguto conoscitore di volpi e di lepri, di passi del tordo e dei venti sull'altopiano di cui costui era incontrastato dominatore. Mi raccontava della Sud-Est, la ferrovia che, al pari di una metropolitana di campagna, caricava e scaricava pendolari, studenti ed operai lungo il tragitto punteggiato di trulli e di centri storici, di campanili e di piazze di paese, di lento struscio e di baruffe chiozzotte fra fazioni contrapposte. In tutti i paesi murgiani c'erano le fazioni ad animare i giorni e gli anni sempre uguali. Quando alla stazione di Noci saliva una studentessa dagli occhi che ghermivano, Giacovazzo conobbe i suoi primi turbamenti. Me ne parlò fiducioso nella mia discrezione. Se ne fece scappare la confidenza in alcuni suoi scritti, compreso l'ultimo libro, quell' Elogio del Trullo che è diventato quasi un testamento spirituale. Il direttore Giacovazzo è stato il testimone del mutamento. Ne soffriva, se ne doleva; ma mai si è dato per vinto. Quanta distanza siderale fra i vecchi canoni della politica e dell'informazione con gli odierni strumenti della comunicazione politica e sociale. Cattolico progressista, intimamente moroteo, propugnatore della dottrina sociale della Chiesa. Dello statista scomparso è stato l'amichevole ombra. L'assassinio per mano brigatista lo segnò intimamente. Non ne parlava volentieri. Una sorta di gelosia dei sentimenti lo assaliva. Viveva la professione con lo stesso gusto dell'avventura. Da redattore capo del maggiore quotidiano pugliese (all'epoca, il secondo per importanza del Mezzogiorno continentale), quindi da autorevole direttore, soppesava con sapienza i settori del giornale, dando spazio all'informazione centrale, alla cronache cittadine, alla periferia dei corrispondenti. Ma l'estro professionale si manifestò nella singolare conduzione affabulatoria del Tg della notte sulla prima Rete Rai. C'era ancora il bianco e nero in Tv. Eravamo in pieno centrosinistra e la Democrazia cristiana fronteggiava l'egemonia culturale del Pci (non era stata ancora istituita la terza Rete) con un'informazione rispettosa delle posizioni: Giacovazzo chiudeva l'edizione con illuminanti cronache culturali in sintonia con la magistrale lezione di Sergio Zavoli, suo grande amico ed estimatore. Era piacevole attardarsi la sera per seguire il suo telegiornale; verso mezzodì del giorno successivo, una volta, giunse a Largo Garibaldi con la sua Bmw bianca, accostò, comprò da Lelluccio la mazzetta di quotidiani e chiese a me se avessi visto passare Felice Laforgia. Fu così che lo conobbi. E m'impegnai a seguirne la lezione. Se leggete la piccola raccolta del periodico "Nocistampa" (1973-1975, è consultabile presso la civica Biblioteca), capirete perché noi giovani apprendisti comunicatori seguivamo i suoi stilemi, le sue buone pratiche. Sono convinto che il suo esempio di puntuale scrittura, assolutamente corretta e rispondente all'esigenza di farsi capire in corretto italiano, sia sempre attuale. Nel torrido luglio scorso chiesi ed ottenni di parlargli andando a fargli visita in ospedale, a Monopoli. Non riceveva volentieri, la malattia lo stava fiaccando; "ma per te - mi confidò la moglie - ha voluto fare un'eccezione". Parlammo di progetti culturali da effettuare nel nostro comprensorio, di presentazione del libro edito da Dedalo nell'ambito di Nociestate. Volle che la data fosse fissata alla vigilia della nostra maggiore festa patronale e che a parlarne fosse l'abate Ogliari; lui avrebbe restituito la cortesia presentando in pubblico il testo del benedettino "Tempo e spazio alla scuola di San Benedetto", recentemente edito per i tipi de La Scala. La salute gli è mancata facendo mancare a noi la carezza della sua naturale raucedine, una voce incline al racconto, il racconto di una vita spesa nella rappresentazione dell'umanità affaticata della Murgia e dei suoi incantati trulli. 

 

 


 

 

Cinema. Il suo cuore.

di Angela Bianca Saponari

Peppe ha scoperto la mia passione. Dopo il mio ritorno dall’esperienza lavorativa a Cinecittà, è stato lui il primo intellettuale locale a coinvolgermi in attività culturali che avessero incidenza sul territorio. E’ stato lui ad invitarmi a scrivere recensioni su “Paese Vivrai”, il giornale locale da lui appassionatamente diretto ed è stato sempre lui a spingermi a organizzare rassegne di film nella piccola e bellissima sala cinematografica di Locorotondo, da lui fortemente desiderata. La nostra amicizia è diventata autentica e intensa. Con il suo sguardo lucido e acuto mi ha affettuosamente raccontata in un capitolo del suo libro dedicato alla Puglia omaggiando, assieme a me, la magia dimenticata dei cineclub.

Mi ha ospitato varie volte in Valle d’Itria per sognare insieme un futuro culturale per questa terra desolata che riesce a inaridire anche le più sapide ambizioni. Lui era così: parlava delle piccole cose, davanti al camino acceso, sorseggiando il rosolio preparato da sua sorella, tra la foto di Eduardo ospite del suo trullo e uno schizzo regalatogli da Guttuso.

Abbiamo fatto insieme tante cose e molte altre erano in cantiere. In questi mesi eravamo coinvolti nell’organizzazione di un premio di poesie di cui, purtroppo, non conoscerà mai l’esito. A malincuore selezionerò quei versi che di certo lo avrebbero allietato, perché cantano le trame di un territorio a cui è sempre stato legato. Dopo una vita densa e appagante, è tornato alla terra natia, in cui regrediva piacevolmente come Pasolini nella sua Casarsa, e in quell’accogliente utero materno si è spento.

Come tutti i pugliesi curiosi del nuovo e conservatori dell’antico, aveva scritto che “si può lasciar morire una patria…”;  ma certamente avrebbe condiviso con me che non potranno mai morire i suoi cantori.

 

 

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