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Che da qualche parte si ritrovi

foto-dino-tinelli-bnChe da qualche parte si ritrovi, cari "uomini sapienti stanziali" della "Murgia dei due Mari", il fatto di maggiore danno che consentiamo venga perpetrato nelle nostre comunità, quello dell'abbandono di una relazione, di una reciprocità, che sia quella del fornaio che bruci il pane, dopo averne cotto di ottimo per lustri interi, come quello del medico che non ti segue per i troppi clienti e per bravura acquisiti, è solo pari alla caduta della politica che ci tocca considerare in tutta Europa appena una qualche sensazione di sblocco della crisi per debiti che l'Occidente sopporta possa far ritenere che una qualche disponibilità alla spesa pubblica sia alle porte. (E che resta il limite politico caratteristico del nuovo Governo Letta.)

Circostanza che vale sia per riciclare la vecchia politica, sia per far nascere nuove soggettività, come se le soggettività politiche si potessero formare a piacere o le rottamazione imporre a comando, quando invece ciò che ci tocca sopportare è l'astrattezza assoluta della politica in Europa, ben lungi dall'intendere il minimo machiavellismo, quando pur di esercitare il suo formalismo dovunque, da Lampedusa al Circolo polare, evita, con una precisione degna di miglior causa, che qualsiasi legame tra i luoghi e le sue espressioni possa mettere in crisi il suo dire che immediatamente per verità andrebbe, invece, inteso.
Si tratta, cari Murgiani dei due Mari, di quella specificità della ragione politica che lega i luoghi e le intenzioni tanto profondamente da far dire che costui è nato in un posto e non in un altro, ovvero che possa certamente spostarsi, cambiare arie e acque, ma che da qualche parte debba sempre considerare di aver cominciato a vivere e di questo, sorte di ogni uomo, debba considerare che altri vivono lo stesso in profonda aderenza a quanto sono diventati oggi! E non smettono di considerare coerente a ciò che oggi fanno e al luogo nel quale vivono.
Il formalismo della libertà che la politica astratta del nostro tempo esercita, invece, impone che si prescinda dal luogo come da ogni luogo, e che si sia nati neri o gialli, ciò che importa, è che la nostra natura, sia materia disponibile ad intendere il formalismo delle libertà che proprio il discorso politicistico crede di poter rappresentare per intero.
E pure siamo uomini ai quali ogni cosa è riferita e ogni complessità presentata, dato che la limitazione di qualsiasi attributo che in qualche modo comprometta il presupposto della libertà formalizzabile intorno ad ogni questione, in Occidente rappresenta il motivo elementare, per il quale ogni battaglia è consentita. E sarebbe come considerare il giornale locale, letto solo per le immagini, quando l'alfabetizzazione di massa avrebbe dovuto imporre, piuttosto che favorire almeno negli esiti, che a leggere e a scrivere per compiuta intendibilità ed espressione personale, tutti sarebbero stati ottimamente disposti in quanto adeguatamente già dotati!
E questo capita in ogni nostro momento pratico o culturale. Se pure forniti di formidabili apparati di integrazione e scambio, ciò che ne risulta non è neanche la "legge del minimo sforzo" che pure ha valore di scienza, ma quella, impossibile da declinare in politica, della distanziazione assoluta da ogni sforzo!!! Quando la politica è, invece, proprio lo sforzo di tenere viva la relazione di reciprocità permanente, necessaria alla comunità e di questa farsene tutti adeguatamente carico.
E non solo nella piccola comunità dove al fornaio va data l'opportunità di raccontare, standolo adeguatamente a sentire, per quale motivo il pane sia stato cotto troppo, e porre insieme rimedio, ma anche in Europa, dove la difesa impossibile, sul piano strettamente monetario, dell'indebitamento globale sta impoverendo, con le politiche del rigore, senza diretta convocazione del fornaio, le nazioni partecipi.
Bisogna, dunque, che le libertà politiche nazionali che si ossificano intorno al concetto di sovranità riscattino la loro efficacia nella relazione necessaria, che se nella Murgia dei due Mari è la costituzione di una condizione di riconoscimento della ricchezza e della sua distribuzione, quale elementare credito politico pubblico, in Europa sarà, come con J. Habermas a Lovanio è stato detto (vedi trafiletto sul Corriere del 27 aprile 2013) il "metodo comunitario" che rinnova la "solidarietà offensiva" delle nazioni. Dove proprio il discorso della condivisione delle ricchezze e delle povertà, opportunamente modulato in sede politica, se da un lato limiterà le cosiddette "sovranità nazionali", dall'altro libererà condizione produttive nuove, immediatamente riscontrabili come positive in un altro spazio civile europeo e... mondiale!
Fare capo, in questo modo, al crescente disequilibrio interno all'Europa, significa chiamare la politica ai suoi compiti, a ritrovare il senso perduto della sua efficacia pratica contingente, alla quale niente può essere sottratto, né nascosto. E in questo stesso, come in Europa, con Habermas, è la cultura della democrazia che supera il formalismo politico, così nei nostri luoghi sarà la cultura pratica depositata nei luoghi intorno alla qualità del nostro sopravvivere nella salvezza, la leva sulla quale la politica potrà rinnovarsi. Riprendendo dagli essenziali produttivi che sono nelle condizioni interne per le quali un luogo riesce a costituire civiltà e sviluppo!!! Diffidando, non senza qualche incertezza, ma evitando indebitamenti futuri certamente, delle condizioni che lasciano credere come la produttività dipenda esclusivamente da fattori economici esterni!
Riconoscere cultura e comunità è allora, il fattore politico decisivo per riavviare un processo che faccia capo alla straordinaria forza del nostro passato dove cultura è interamente depositata! E la élite politica che sarà in grado di legare nuovamente cultura e comunità consentirà, essa sola, che anche dove la dissoluzione avrà trovato vantaggio, a tutti sarà concesso di "ereditare la Terra".

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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