Emozione umana e fede cristiana

blog tommaso turi

Da circa un trentennio, l’arcipelago delle emozioni (Borgna) si è moltiplicato a dismisura il cui impatto sui paradigmi della conoscenza in Occidente ha avuto un effetto imprevisto e innovante. In senso stretto, il rapporto canonico tra l’emozione e la ragione s’è dissolto: la ragione non segue e regola più l’emozione, illuministicamente, ma è essa stessa “ragione emotiva” ed “emozione ragionevole”. In quanto “reazione intensa, acuta e breve” riveniente da uno stimolo ambientale (Galimberti), l’emozione non appartiene più soltanto alla sfera dei sentimenti (consci e inconsci) ma a quella endocrina e intrapsichica della vita umana: in merito, sono state le neuroscienze generali ed applicate a darci nuovi significati alla nostra materia che, tra l’altro, ha creato pure la neuroestetica, la neuroetica, la neuroconomia, la neuroreligione e la neuroteologia (Bonaccorso).

Dal punto di vista empirico, l’emozione potrebbe rappresentare una specie di sistema immunitario dell’esistenza umana, che ha una vita sia in sé sia per sé e, quindi, per ciò che è altro ed oltre da sé. La coscienza dei sensi e la coscienza sensata è il polo unitario e simultaneo dell’agire dell’emozione che va al di là del meccasinismo naturale del movimento psicosomatico: due campi semantici molto interessanti della nuova relazione che intercorre tra l’emozione e la ragione è il campo del divino (o della religione) e il campo della fede (cristiana)

Il campo del divino va interpretato attorno alla dimensione del sacro e del mito mentre il campo delle fede va decifrato attorno alla dimensione della teologia e della mistica.

La dimensione del sacro ha un impatto emotivo, quasi istintivo, perché rimanda, senza la mediazione della ragione, al “mondo altro”, estraneo,  separato dei sensi immediati e primari: eppure, la dimensione del divino o della religione ha una profonda connaturalità umana. La percezione di ciò che non è percepibile è l’emozione acuta e densa, che informa la “vita profana” della sensitività diffusa e totalizzante. Gli studi più accreditati della secolarizzazione hanno appurato, per esempio, che,durante il dominio della mondanità,la spiritualità non è scomparsa ma è aumentata, la religiosità non è stata debellata ma ha assunto un altro volto, spostandosi su altri vissuti inediti. L’attenzione e la responsabilità verso il mondo storico (=secolarizzazione) aprirono l’emozione a gustare nuove e infinite bellezze cosmiche e creaturali: bellezze che alimentano l’immaginazione repentina di altre bellezze sconosciute alla ragione ragionante e, quasi, impedita a raggiungere il suo fine fisiologico, psicologico e ontologico.

La dimensione del mito ha, invece, un impatto emotivo non più regressivo ma progressivo o evoluzionario: oggi, l’emotività del mito è mossa dal rito emotivo e infinito dell’intelligenza artificiale o cibernetica: il mito diventa un’emozione che anticipa un futuro indeterminato dall’infinitudine delle possibilità cibernetiche, telematiche e robotiche. L’emotività del mito sta facendo nascere il mito di un mondo postumano: qui, il cervello è sostituito da un computer sofisticatissimo con funzioni senza fine. Come elemento del mondo divino o religioso, il mito è, così, l’emozione diretta di “visioni opache ma certe”, di “allusioni deboli ma precise”: a questo crocevia, s’incontrano la psicologia religiosa e la religione naturale. L’uomo ha un’apertura nei confronti del mondo divino perché l’emozione, conscia e inconscia, che proviene dal mito è la stessa emozione che proviene da una mitologia eterna a cui si conferisce la funzione morfologica di una grammatica e di una sintassi, capace di decifrare il labirinto irrazionale dell’immoralità contemporanea (=Paesi ricchi/Paesi poveri; Paesi armati/Paesi disarmati; Paesi democratici/Paesi totalitari, ecc.).

La dimensione della teologia o dell’intelligenza della fede cristiana non è neutra nei confronti dell’emotività e della passione del credere: sia la teologia naturale o filosofica sia la teologia rivelata o teologica esplicitano l’emozione che sorge a causa di un incontro interpersonale, tra la persona umana e la persona divina.

Lungo questa direzione, non esiste più il mondo divino e indistinto della religione (=rapporto tra l’uomo e la divinità) ma esiste il mondo unitivo dell’amore, da cui proviene l’incontro tra la fede discendente e la fede ascendente, tra la grazia eccedente e la grazia accogliente. Si tratta di un’emozione cordiale che fa da telaio spirituale e morale all’intelletto d’amore e alla conseguente teologia affettiva, che è contemplativa e mistica. Così, l’emozione dell’amore è il principo conoscitivo, operativo e celebrativo della fede personale: l’intelligenza della fede è sapienza dell’amore, sapienza della gratuità, sapienza del dono, sapienza del senso della vita e della morte. La teologia spirituale, la teologia ascetica e la teologia mistica vanno di pari passo alle nuove spiritualità private dell’Occidente triste ma non rassegnato a farsi vincere dal nulla e dai suoi surrogati terreni.

La dimensione della mistica o dell’unione contemplativa col Signore (=fede in azione) è la dimensione più emotiva di ogni emotività spirituale e personale: l’incontro fiduciario tra la persona salvata (=l’uomo) e la persona che salva (=Gesù Cristo) non ammette confini. L’interpenetrazione della fede è un’azione mistica ovvero è un’emozione senza aggettivi: su questo aspetto della vita spirituale o personale dell’uomo (=spirito incarnato), le religioni storiche non si sono ancora sterilizzate dalle tossine devastanti che hanno accumulato nel corso dei secoli. Dal punto di vista di una corretta teologia cattolica, ciò che salva l’uomo non è la religione ma la fede. La fede è la speranza contro ogni speranza (Agostino) poiché il suo fondamento strutturale o il suo basamento fondazionale è l’accettazione gratuita dell’amore e della grazia: la ragione del cuore o dell’emozione cordiale è sempre più forte del cuore della ragione o dell’intelligenza cordiale. L’emozione mistica della fede trasforma l’emozione acuta e breve in emozione cronica e stabile; è, cioè, una trasfigurazione psicosomatica che va dal niente al tutto, dall’insignificanza al senso, dalla storia alla gloria, dalla terra al cielo, da dio a Dio.-

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