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I diritti umani in prospettiva storica

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Se il diritto sussiste nell’essere dell’uomo (Rosmini), il diritto umano sussiste nell’essere dell’esistenza della persona e della sua dignità: la radice dei diritti umani è, di conseguenza, l’uomo, in quanto uomo, creato da Dio e non dallo Stato o dagli altri poteri pubblici. Questa radice antropologica e teologica dei diritti umani apre nuovi orizzonti storici sul piano del diritto alla vita e del diritto a vivere una vita dignitosa: in altre parole, il diritto alla vita (cf Centesimus annus n.47) è  sia il diritto originario dell’essere umano sia il diritto originario dell’esistenza umana. Pertanto, il diritto a vivere una vita dignitosa non è un diritto che segue o esplicita il diritto alla vita ma è lo stesso diritto alla vita che sviluppa il suo dover essere, storico e trascendente.

La dignità umana o la condizione di nobiltà morale dell’uomo (Duro) dice che il fondamento antropologico o filosofico dei diritti umani risiede nella simmetria e nella reciprocità (Cotta): il valore morale della dignità umana, essendo interscambiabile tra le persone (=simmetria), pone sullo stesso livello ontologico (=essere) ed ontico (=esistenza) tutti gli esseri umani, per il semplice fatto di essere esseri umani. Lungo questo versante, prende corpo anche l’interdipendenza interna che c’è tra ciò che è un diritto e ciò che è un dovere e viceversa. I diritti umani sono intrinsecamente paritari (=reciprocità) poiché esigono i corrispondenti obblighi o doveri per potersi concretizzare storicamente: dal punto di vista delle scienze morali e giuridiche, si può dire, ragionevolmente, che in ogni diritto umano è immanente un reciproco dovere umano.

Il fondamento teologico o cristologico dei diritti umani suppone ed eleva, invece, il fondamento antropologico o filosofico perché chi segue Cristo, uomo perfetto, si fa lui più uomo (cf Gaudium et spes n.41). In quanto creato, metafisicamente, da Dio e redento dal Figlio di Dio, fattosi uomo, l’uomo ha, in certo senso, anche il diritto di vivere e a vivere “per essere salvato” o eternato: come esseri aperti alla trascendenza e alla dimensione celeste, l’uomo e il genere umano hanno i propri diritti umani innati nella loro natura specifica ovvero nella loro umanità. Questi diritti innati vengono sublimati da Dio e dalla Chiesa di Cristo la quale è anch’essa chiamata ad adempiere ai propri doveri d’amore caritatevole affinché i diritti umani possano incarnarsi, senza ma e senza se: questo dovere ha, sul piano storico, le evidenti implicazioni ecumeniche, interreligiose e planetarie.

I diritti umani esistono quando sono universali, inviolabili, inalienabili e indivisibili: queste caratteristiche non solo sono irrinunciabili ma sono strutturalmente fondazionali tant’è che la mancanza di uno di questi quattro pilastri (Giovanni XXIII, 1963; Giovanni Paolo II, 1998) rende nulli o inesistenti i diritti umani, sic et simpliciter. I diritti umani sono universali perché sono presenti in tutti gli esseri umani, sempre e dovunque; sono inviolabili poiché sono coestesi alla vita plenaria e all’esistenza totale delle persone; sono inalienabili perché non possono essere limitati o sottratti da nessun altro essere umano o da nessun potere, sebbene legittimo; sono indivisibili poiché l’unità integrale della vita umana va protetta e sviluppata in tutte le sue fasi. I diritti umani abitano le persone e le persone sono abitate dai diritti umani.

Dal punto di vista culturale è bene fare due considerazioni generali: una di natura politica e una di natura giuridica.

La relazione tra i diritti umani e i sistemi politici – democratici e pacifici (Bobbio) – è una relazione ancora acerba perché, anche nel nostro “tempo telematico”, i diritti umani vengono negati o garantizi “a pezzi”, “a spezzoni” e, quasi sempre, senza tener conto dei princìpi di simmetria e di reciprocità (=doverosità sociale e pubblica): urge, allora, una grande opera educativa (Jemolo) affinché s’intraprenda la strada per un cammino solidale e condiviso delle persone e dei cittadini. Cammino istruito da una “cultura politica e istituzionale” basata sull’amicizia civile e sull’etica della responsabilità: l’amore civile e l’etica della responsabilità sono i due poli virtuosi dove gli effetti di ogni singola azione umana e sociale sono giudicati dall’altro-uomo e dagli altri-uomini. Tale giudizio viene approvato, con la presa d’atto, o viene disapprovato con la sanzione, morale e giuridica. Anche il costituzionalismo contemporaneo va tarato meglio, rispetto ai diritti umani, che vanno interpretati alla luce dei concetti politici di essere umano nella comunità e di cittadino del mondo: infatti, i concetti politici di “individuo sociale” e di “soggetto comunitario” si sono ormai rarefatti a motivo del superamento delle ideologie borghesi e libertarie e a motivo del nuovo processo organico e antropologico di globalizzazione. La sfida politica della globalizzazione è la stessa sfida politica della globalizzazione dei diritti umani.

La relazione, conclusiva, tra i diritti umani e i sistemi giuridici – Occidentali, Orientali, del Nord e del Sud del mondo – è, forse, la relazione complessiva più debole della nostra materia. I giuristi affermano, senza ambiguità fenomenologiche, che senza sanzione non c’è diritto, secondo giustizia: siccome la giustizia deve dare a ciascuno ciò che gli spetta, chi non rispetta i diritti umani va punito e non premiato. Sino ad oggi, anche i tribunali trasnazionali si sono rivelati poco efficaci tant’è che molti responsabili di “crimini contro l’umanità” vanno comodamente a spasso per il pianeta: ciò che bisogna fare è, allora, istituire nuovi punti di giurisdizione, legittima e penale, al fine di proporzionare la violazione dei diritti umani ai luoghi giuridici in cui viene consumato il reato. Oltre a questa riforma universale andrebbe fatta anche quella, inderogabile, della velocizzazione dei processi e della razionalizzazione umanistica della certezza della pena, perché anche il detenuto ha i suoi diritti umani. Sul piano etico-giuridico, non la scala antropologica (diritti del nascituro, diritti dell’infanzia, diritti del bambino, ecc.) ma la scala dei valori umani dev’essere il baricentro degli ordinamenti giuridici positivi, volti a garantire e a promuovere i diritti umani (=Stato sociale di diritto).

In prospettiva storica, la materia dei diritti umani dovrebbe plasmare la vita delle formazioni sociali, che, edotte dalla verità, dovrebbero darsi uno statuto morale, facente perno attorno al valore della dignità della persona umana. Una società è giusta se c’è reciprocità tra diritti e doveri e tra esseri  umani e  cittadini del mondo: senza reciprocità tra diritti e doveri non c’è futuro, a misura d’uomo.-

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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