Pagine di storia - Nell’edizione de La Gazzetta del Mezzogiorno dello scorso 14 aprile è apparso un articolo di Pasquale Gentile sulle prestazioni sanitarie e sociali assicurate a Noci, nel corso dei secoli, dall’Università, ovvero dal Comune. L’importanza dell’argomento – specie nei giorni che viviamo - ci porta a trascriverlo nella sezione ‘Pagine di storia’ sicuri di fare cosa gradita ai nostri Lettori. Come a solito, si legge d’un fiato.
L’assistenza agli ammalati e ai bisognosi non è un’odierna prerogativa. Da varia documentazione emerge un’antica quotidiana operosità che, nei momenti di nefasta contingenza, offre una sorprendente presenza istituzionale. Sanità e servizi sociali si fondono. A Noci, nei secoli, l’Università assicura il dovuto servizio sanitario, consolida la spesa, organizza i servizi. Un cerusico, il chirurgo di una volta, garantisce le prestazioni primarie: medica le ferite, pratica il salasso (…toccasana in qualsiasi occasione), estrae i denti, etc.. Ha da rispettare soltanto alcune regole: non può medicare ferita o percorsa se prima non presenti denuncia alla Corte. Le mammane non possono pigliar parto di donna senza marito.
Nell’Ottocento, con l’istituzione della condotta pubblica (che perdura sino alla riforma sanitaria del 1978) il cerusico diviene medico condottato nominato annualmente dal Decurionato. A volte il cerusico chiama a ‘consulto’ colleghi forestieri. per i nostri Lettori Nel 1776, Domenico Giuliano giunge a Noci, da Conversano, per soddisfazione e piacere del locale cerusico Caramia per osservare e peritizzare la ferita inferta, da un ladro in fuga, a Domenico Notarnicola che lo insegue. L’Università si fa carico delle spese: ducati sei per rigalia e carlini ventisette per spese e cavalcature di accesso e ricesso. Un cerusico presta servizio presso lo spedale di S. Maria de’ Poveri, detto anche dei Pellegrini, eretto da Pietro Iudice Stefano nel 1516 e amministrato dalla Confraternita del Santissimo Sacramento.
Molti gli esiti della cassa pubblica per le medicine che i farmacisti, su biglietto del sindaco, forniscono ai bisognosi.
Le prestazioni sanitarie pubbliche costano, il bilancio comunale soffre. Nei primi decenni del ‘700 si copre l’ingente spesa imponendo una tassa... la tassa de’ Medici. Pagano tutti in base al reddito. All’esattore non sfugge nessuno. L’Università sottoscrive, così, apposita convenzione con medici fisici ordinari.
Nel colera del 1837 - quando vi sono tre quattro casi al giorno ed ora uno, ora due ne muoiono e ve ne sono alcuni già salvati, altri in convalescenza, il cantore don Giovanni Intini da solo porta i cadaveri nella cappella di san Lorenzo fuori l’abitato, la popolazione corre in chiesa per confessarsi e comunicarsi, una soscrizione volontaria fallisce perché i possidenti si sono quasi tutti dispersi nella campagna, e vi regna solo un malinteso egoismo - una Commissione sanitaria, integrata dal clero capitolare, soccorre gli infelici utilizzando i fondi della beneficienza che presto, però, si esauriscono.
I servizi sociali affiancano la sanità. Ai bisognosi si elargisce la cosiddetta ‘elemosina’ per l’acquisto del necessario per vivere. Altro soccorso è lo sgravio dalle gabelle. Agli inizi dell’Ottocento, giunge l’istituzionalizzazione della ‘beneficenza’: gli interventi passano tutti dall’esame di una Commissione.
Nasce l’elenco dei poveri che sopravvive sino agli anni ’70 del Novecento. Votati alla beneficenza sono, anche, i Monti frumentari, i Monti di pietà, i Luoghi pii, gli Stabilimenti e le Congregazioni di carità operanti presso chiese e confraternite. Peculiare attività è l’assegnazione delle doti alle fanciulle povere da maritare.
Specifica l’attenzione per gli abbandonati neonati illegittimi, detti esposti. L’Università, per l’allattamento, li affida a donne pagate a mesate e, quindi, li ‘chiude’ negli orfanotrofi. Nell’Ottocento, il loro alto numero impone l’istituzione di un precipuo registro di contabilità.